Ricevo da Nicola Gargantini e rendo noto.
Dar retta al nostro prossimo, mostrargli “simpatia” senza pregiudizi né prevenzioni, può riservare sorprese molto gradite.
Di KENT NERBURN
Craig, un mio amico intimo e collega dell’università, comunicava energia e vitalità ovunque andasse. Focalizzava la sua attenzione su di te mentre gli parlavi e ti faceva sentire più importante che mai. La gente lo adorava. Un giorno d’autunno Craig ed io stavamo studiando: era una bella giornata piena di sole, e io guardavo fuori dalla finestra, quando scorsi uno dei miei docenti che attraversava il parcheggio. “Ecco uno che vorrei proprio evitare d’incontrare” dissi. “Perché?” chiese Craig. Gli spiegai che qualche mese prima ci eravamo lasciati in malo modo: io mi ero offeso per qualcosa che lui mi aveva detto, e a mia volta gli avevo risposto per le rime. “Inoltre” aggiunsi “non gli vado a genio.” Craig guardò in basso verso il professore. “Forse hai capito male” disse. “Forse è proprio il contrario, e ti comporti così perché sei tu che hai paura. Probabilmente pensa di non piacerti, così lui ti è ostile. Alla gente piace la gente che l’apprezza. Se mostri interesse nei suoi confronti, lui farà altrettanto. Su, vai giù e parlagli. “Rimasi colpito dalle sue parole. Decisi di fare una prova e scesi giù per le scale, diretto al parcheggio. Salutai l’insegnante con calore e gli chiesi come avesse passato le vacanze. Mi guardò, sinceramente sorpreso. Poi ci incamminammo chiacchierando, e non feci fatica a immaginare il mio saggio amico che ci guardava dalla finestra con un sorriso d’approvazione. Craig mi aveva fatto capire un concetto elementare, tanto elementare che non riuscivo a convincermi di non esserci arrivato da solo. Come la maggior parte dei giovani, mi sentivo insicuro, e temevo sempre il giudizio degli altri, mentre invece erano proprio gli altri a preoccuparsi di come li avrei giudicati io. Da quel giorno, invece di vedere – e temere – la critica negli occhi del mio prossimo, cercai di riconoscere la necessità che la gente ha di stabilire un rapporto, di comunicare e regalare agli altri qualcosa di sé. In questo modo ho scoperto un volto nuovo della gente, un volto che non avrei mai conosciuto altrimenti.
Per esempio, una volta, su un treno che attraversava il Canada, cominciai a chiacchierare con un signore che tutti evitavano perché parlava e si comportava come fosse ubriaco. Saltò fuori che quel poveretto si stava riprendendo da un ictus. Era stato macchinista sulla stessa linea ferroviaria che stavamo percorrendo, e durante la notte mi raccontò la storia di ogni chilometro dei percorso, che si chiamava Pile O’ Bones (“Mucchio d’ossa”) per le migliaia di scheletri di bisonti lasciati un tempo sul terreno dai cacciatori indiani. E mi parlò anche del leggendario Big Jack, un operaio svedese addetto alla posa dei binari che poteva sollevare da solo rotaie del peso di oltre 200 chili; e del conduttore McDonald, che aveva come compagno di viaggio un coniglio. Mentre il sole mattutino sorgeva colorando l’orizzonte, quell’uomo mi prese per la mano e mi fissò negli occhi. “Grazie dell’attenzione” mi disse. “In genere nessuno mi dà retta”. Non avrebbe dovuto ringraziarmi: il piacere era stato tutto mio.
A Oakland, in California, fui fermato una volta a un angolo di strada da un gruppetto di turisti che aveva bisogno di un’informazione; si trattava di una famiglia di australiani proveniente da una città della remota costa nord-occidentale di quel paese. Chiesi loro come si vivesse laggiù e, mentre prendevamo un caffè, mi raccontarono degli enormi coccodrilli marini “con il dorso largo come la capote di un’automobile” che frequentavano i paraggi di casa loro. Ogni incontro, scoprii, si trasformava in un’avventura, ogni persona diventava una lezione di vita, li ricco, il povero, il forte e il debole, tutti erano pieni di dubbi e di sogni, proprio come me. E ognuno aveva una storia speciale da raccontare: bastava solo che li ascoltassi.
Un vecchio e barbuto vagabondo mi raccontò come fosse riuscito a sfamare la sua famiglia durante la crisi economica degli Anni Trenta: sparava con la doppietta dentro uno stagno e poi raccoglieva i pesci storditi dall’esplosione che galleggiavano in superficie. Un vigile mi spiegò che aveva imparato a muovere le mani per dirigere il traffico osservando attentamente toreri e direttori d’orchestra. E una giovane estetista mi comunicò la gioia che provava osservando le anziane ospiti di una casa di riposo che sorridevano ammirando le loro nuove acconciature. Quanto spesso ci lasciamo sfuggire queste opportunità. La ragazza che tutti vedono bruttina, il giovane vestito da punk: queste persone, e tutte le altre che abbiamo intorno, hanno qualcosa da raccontare, proprio come voi. E, come voi, sognano di trovare qualcuno disposto ad ascoltarle.
Ecco la lezione di Craig. Prima di tutto, amate la gente; poi, fate domande. Vedrete che la luce che irradiate sugli altri tornerà a riflettersi su di voi, centuplicata in splendore.
Dante dice
Grazie
è un bellissimo post di una semplicità unica e forse proprio per questo toccante e profondo, ma anche rigenerante ed ottimistico.
Quante persone incontriamo ogni giorno e con quante ci fermiamo a parlare.
Certe volte quando viaggio da solo preferisco il treno perchè mi da la possibilità di incontrare persone che non conosco e che forse non incntrerò più ed è bellisssimo ascoltarli e parlare con loro.
Ora dopo questo post immagino la ns vita come un grande treno e carico di persone speciali che fanno questo viaggio insieme a noi, dobbiamo solo “ASCOLTARCI”
buon ascolto
dante
zetetesformazione dice
P A N T A R E I ?
Abbi gioia
Giannicola