La scorsa notte ho fatto un sogno bellissimo.Ero un ragazzo di colore e giocavo una finale agli ordini del mio allenatore bianco.Che storia è questa?Marzo è il mese della “follia” del basket (“march madness” – come viene chiamato negli USA).Perché accade cosa?Le finali NCAA (clicca qui).Cosa sono?Sono le finali tra giovanissimi rappresentanti di questo sport;confronti tra squadre universitarie;tra studenti di belle speranze (almeno per il basket, ma non solo);tra i più alti e i meno alti;tra i ragazzi più bravi e i meno bravi;tra atleti più dotati e meno dotati;din-din… tra bianchi e… neri.Sì, oggi è così!Oggi.Ma è sempre stato così?C’è una data di partenza dalla quale le cose sono cambiate?Ebbene sì, una data ha segnato la linea che delimita il superamento di una barriera mentale, culturale, sociale.Nel 1966 Don Haskins (allenatore della Texas Western – “MINERS” – clicca qui) decise che una cosa si poteva e si doveva fare e trovò il modo di mettere in campo una squadra composta esclusivamente da giocatori di colore.
Don Haskins, non pretendeva sfidare le opinioni per affermare cambiamenti e/o diritti civili universali, ma mettere insieme una squadra che potesse garantire un gioco ordinato ma creativo, rispettoso ma atletico, veloce ma organizzato, con una forte difesa e con una strategia di gioco molto “da bianchi”, e per ottenere il risultato Haskins capì che era possibile percorrere la strada del basket con atleti neri.
Passione?Amore?Gloria personale?Salvaguardia del posto di lavoro?Spirito aziendale?
Altro?Non lo so e forse neanche m’interessa ricercare, in questo contesto, cosa ci fosse dietro o sotto o chissà dove, nel cuore e nelle aspirazioni di chi.
Nel 1966 per la prima volta nella storia del basket universitario americano, un quintetto di “niggers” scese in campo e vinse contro un quintetto di “honkyes“.Questa è la storia!C’è un bel film su questa vicenda che si chiama “Glory road” (il mio consiglio: da vedere – clicca qui).I fatti della leadership in questa storia?– intuizione nel credere in giocatori di colore capaci di giocare come giocatori bianchi (superamento di schemi mentali limitanti? conseguente dimostrazione che funziona?);– persistenza nel cercare di coinvolgerli e superare le credenze che non potessero essere allenati (il buon senso ha un preciso colore di pelle?)– creazione di nuovi contesti di apprendimento (sei fatto così e non puoi snaturarti? Si è sempre fatto così? Ma chi ti credi di essere? Ecc…)Prima di creare una qualsiasi organizzazione, la prima cosa da fare è identificare e chiarire i tuoi personali valori.Perché?Bang-bang… perché i tuoi pensieri, i tuoi valori personali, le tue azioni sono quella malta che costruiscono il tuo “personale” gioco di squadra…Sarebbe una grave distrazione non tenerne conto.Non ci sarebbe il gioco di squadra senza i singoli elementi!La partecipazione personale nell’applicazione del gioco di gruppo è la differenza che fa la differenza.Che partecipazione?Con quale intensità?Come la si esprime?
Che significato hanno le tue intenzioni?Che intenzione dai ai tuoi significati?E sì, perché inseguire un valore di squadra senza aver prima chiarito i propri personali valori sarebbe un po’ come cercare di insegnare a guidare un’auto non avendo mai capito come si mette la prima…“DECIDETE CHE UNA COSA SI PUÒ E SI DEVE FARE E TROVERETE IL MODO”. Insomma, al centro di questa riflessione interraziale, non c’è solo la questione di chi abbia ragione o se qualcuno l’abbia mai avuta o se sarà ancora e sempre così; non è quello che sta alla base di questa riflessione, tra posizioni diverse, quello che m’interessa. Anzi il punto è che le sfide (domande, sotto qualsiasi aspetto si presentino) hanno bisogno di responsabilità (cioè risposte che vengano da dentro, dai singoli, da valori saldi) e gestione delle proprie reazioni; poi, solo in un secondo tempo, si può parlare di squadra e ci si può dedicare alle emozioni altrui, alle aspettative altrui, alle posizioni altrui, ai sentimenti altrui, ecc…David Lattin, Bobby Joe Hill, Willie Worsley, Orsten Artis e Harry Flournoy erano i ragazzi che scesero in campo per i “MINERS” e che cambiarono la storia e il “colore” del basket. Il mio nome invece (Giannicola De Antoniis) non appare in quintetto, ma il mio era solo un sogno (clicca qui); quello di Don Haskins e i suoi ragazzi un meraviglioso risultato concreto che li ha portati su una strada che li avrebbe condotti, dritti dritti, verso la gloria senza tempo.
Abbi gioia!
Giannicola
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