di Andrea Bonavoglia
Dario Fo ha più di ottant’anni, alle spalle una carriera unica nella storia della cultura italiana, culminata nel premio Nobel per la letteratura del 1997, incredibilmente densa di teatro scritto, recitato e diretto, e di passione politica. Come se non bastasse, negli ultimi anni Fo ha intrapreso la “professione” di storico dell’arte, producendo spettacoli divulgativi e scrivendo libri, rinnovando perciò quella passione sempre viva per la pittura che gli permise, in anni ormai lontani, di frequentare l’Accademia di Brera e, poi, di costruire innumerevoli scenografie e costumi per i suoi stessi spettacoli. Nel risvolto di copertina di questo libro d’arte dedicato a Raffaello, Bello figliolo che tu se’, Raffaello, il quarto firmato da Fo per l’editore modenese Franco Cosimo Panini (gli altri trattano di Caravaggio, di Mantegna e del Duomo di Modena), si legge che egli ha ricevuto, oltre al Nobel, il premio danese Sonning e il commendatorato della Repubblica francese: non c’è bisogno di sottolineare che nessuno di questi prestigiosi premi è italiano. Ma perché creare spettacoli didattici sull’arte e scrivere d’arte? La risposta è in realtà semplice e conferma il personaggio: Fo vuole portare l’informazione e la cultura artistica alle loro giuste proporzioni di “cosa di tutti”, vuole cercare il lato popolare e vitale anche nei personaggi considerati più seri o delicati, vuole togliere alle biografie artistiche la calligrafia, la troppa educazione, l’erudizione noiosa. A monte di tutto questo, una genuina passione lo spinge a studiare e a leggere i personaggi che ama e che gli fa scrivere pagine a volte spassose, a volte molto tecniche. Raccontando la vita di Raffaello, Fo cita ripetutamente Giorgio Vasari, che dell’urbinate scrisse: «fu ben ragione che, per contrario, in Raffaello [la natura] facesse chiaramente risplendere tutte le più rare virtù dell’animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia et ottimi costumi quanti sarebbono bastati a ricoprire ogni vizio, quantunque brutto, et ogni macchia, ancorché grandissima». Fo utilizza qui e là le eleganti esagerazioni di Vasari, mentre in altri casi contesta il grande biografo rinascimentale, ad esempio sulla presunta modestia del padre di Raffaello, Giovanni Santi, che – secondo Fo – va, invece, rivalutato, e sul carattere mite di Raffaello, che – sempre secondo il premio Nobel – doveva essere, perlomeno nella maturità, d’acciaio. In realtà, lo stile di Fo “storico dell’arte” potrebbe essere accostato proprio a quello di Vasari, non tanto per la scrittura, quanto per la bilanciata alternanza di dati concreti e commenti personali, di considerazioni oggettive e di commenti umorali. L’incontro tra papa Giulio II e Raffaello, alla presenza di Bramante, è così descritto da Fo: «Giulio, che ognuno chiamava il papa terribile, a una ulteriore intromissione di Bramante, gli sferrò un pugno nello stomaco che lo fece deglutire con fatica. Quindi il terribile, mimando di schiaffeggiare l’architetto, lo aggredì ridendo: Forse che il tuo protetto qui tiene la disgrazia d’esser muto?» (pag. 94). Ma oltre a scene spassose come questa, Fo descrive con perizia tecnica elementi di pittura assai più sottili, come nel brano seguente: «Così la tipica Madonna raffaellesca ha il volto disegnato dentro un ovale perfetto; gli occhi grandi sono incorniciati da ampie palpebre, quasi sempre abbassate; il setto nasale è dritto con una lieve arcuatura a metà, le narici sono ben segnate e la punta del naso guarda un poco all’ingiù; la bocca è semichiusa, il labbro superiore è sottile mentre quello inferiore è pieno; le orecchie sono sempre nascoste dall’acconciatura dei capelli come era di moda presso le nobildonne del tempo; la scollatura dell’abito è spesso quadrata e immancabilmente una mano del bimbo le si appoggia al petto» (pag. 146). Il libro è strutturato, nelle lucide pagine di Panini stampate a grandi caratteri e illustrate con abbondanza dai quadri di Raffaello e da moltissimi disegni di Fo stesso, in dodici capitoli ordinati cronologicamente e in sei schede, inserite nei capitoli, dedicate a opere capitali. Si nota forse un certo sbilanciamento tra lo spazio dedicato alla giovinezza e quello successivo, tanto è vero che delle innumerevoli attività, tra cui l’architettura e l’archeologia, svolte dal pittore a Roma negli ultimi anni della sua vita non risultano che pochi cenni. Così come è sorprendente il notevole spazio, compreso un fantasioso e divertente dialogo tra i personaggi, dedicato alla Disputa sul Sacramento, soprattutto se confrontato alla minore attenzione verso il conclamato capolavoro raffaellesco della Scuola di Atene. L’appassionato d’arte, in definitiva, non si aspetti da questo libro una riscoperta di Raffaello, in qualsivoglia direzione, o una lettura disincantata del grande pittore, ma piuttosto un libro informato e tecnicamente validissimo, la cui originalità sta tutta nel modo in cui cose informate e tecniche vengono dette: con semplicità e schiettezza.
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