LONDRA – Non c’è stata storia. Anzi non c’è stata storia due anni fa a Roma e non c’è stata storia a Wembley: il Barcellona di Guardiola e Messi, di Villa e Xavi, non si è imposto solo sul Manchester United di Alex Ferguson – travolgendolo anche in maniera perfino più larga nel gioco di quanto non accadde all’Olimpico – ma anche sul mondo intero. Confermandosi come il più grande di tutti. Non si può ridurre la partita unicamente ai gol di Pedro, Messi e Villa. E’ un intero modello, un nuovo modo di fare calcio, una vera e propria filosofia di sport che viene a imporsi e cambiare – speriamo in meglio – la cultura di chi si avvicina a fare calcio oggi. E’ la maniera di fare calcio del Barcellona che vince: il suo credere fermamente nei giovani e soprattutto nella scuola dei giovani, nel tenerli insieme, nel farne un gruppo che va molto al di là di un semplice spogliatoio o di un allenamento.
Messi vince perché è un fenomeno assoluto, indubbiamente il miglior giocatore del mondo, ma anche perché di questo gruppo fa parte: ha i suoi stessi ideali, la stessa maniera di vivere e soffrire una partita di calcio. Probabilmente se al Barcellona togliessimo Messi non vincerebbe con la stessa facilità ma avrebbe comunque buone chances di vincere lo stesso. Il Barcellona ha vinto divertendosi, senza preoccuparsi mai, assolutamente convinto dei suoi mezzi. Non c’è alcuna drammatizzazione nel suo gioco, nessun eroismo, nessuna impresa fisica straordinaria: il calcio del Barcellona
è l’esecuzione perfetta di una grandissima orchestra che ha il piacere del gioco, della partita, del gesto tecnico e del dialogo tattico. Il suo calcio è una musica.
Già alla vigilia della partita ci si rendeva perfettamente conto che si andava ben oltre lo scontro con il Manchester United di Alex Ferguson, un modello di calcio più tradizionale anche se sempre grandioso e certamente sfortunato nell’aver trovato sulla strada una squadra ancora più grande. Il Barcellona degli anni di Guardiola, appena 40 anni – il tecnico più giovane ad aver vinto due Champions League – è destinato ormai a misurarsi con le grandissime squadre del passato: il Real Madrid della seconda metà degli anni 50, l’Ayax di Cruyff di cui il Barcellona può essere considerato l’erede quasi 40 anni dopo, il Bayern di Beckenbauer e Muller degli anni 70, il Liverpool della fine anni 70, il grandissimo Milan di Sacchi, lo stesso Manchester United a cavallo degli anni 2000. Siamo ormai a questi livelli, si discute della perfezione.
Insomma nell’assistere a questa partita a Wembley si è avuta la netta sensazione di essere stati testimoni di un passaggio storico nello sport. Contro il Manchester United (età media 29 anni), Guardiola ha schierato una squadra di 26 anni e mezzo di età. E’ cioè una squadra, il Barcellona, che ha ancora moltissimo futuro davanti, proprio perché dalla Masia – la sede della famosa cantera catalana – è partito un vento innovatore che ha fatto della Spagna un paese all’avanguardia nel calcio. E che infatti continua a vincere tantissimo ovunque si presenti: dagli Europei in Austria e Svizzera, ai Mondiali in Sudafrica, dall’Olimpico di Roma a Wembley. Quando anche noi, in Italia, riusciremo a capire che lo stesso dobbiamo fare, che i giovani prima bisogna farli crescere e poi dar loro fiducia, forse avremo fatto un grande passo avanti.
Lascia un commento