Dipinto di Luciano Lupoletti
Articolo della Dott.ssa Fiorella Fera
Alcune precisazioni introduttive:
1) Per J. Hillman la caratteristica fondamentale della psiche è quella di produrre immagini. Le percezioni che provengono dall’esterno e quelle che riguardano lo stato interiore dell’organismo o gli stati affettivi, sono rielaborati e rappresentati attraverso immagini. Da queste prendono l’avvio sia la riflessione psicologica sia l’astrazione intellettuale Alcune immagini hanno carattere di familiarità: sono riconosciute come prodotto della propria mente. Altre sono avvertite come totalmente autonome con caratteristiche sconosciute, inquietanti, inusuali, estranee all’identità personale; non riconducibili alle consuete esperienze di vita. Sono invece espressione dell’azione strutturante degli archetipi Sotto forma di sogni o di ricordi o di invenzioni o di sintomi o di distorsioni percettive riducono la libertà dell’Io ponendolo in una condizione di ricettività. Il lavoro interiore, il processo di riflessione, si avvia quando l’attenzione si sposta dalla letteralità degli eventi alla loro rappresentazione immaginativa.
2) Un bisogno psichico fondamentale è quello di raccontare e di sentire racconti. Di ciò è prova l’arte che è manifestazione della natura poetica della mente. Attraverso la contemplazione estetica o le opere letterarie si può vivere quell’intensa esperienza emotiva descritta da Aristotele col nome dai catarsi. Hillman intende pòiesis nel senso del fare fine a se stesso, come espressione dell’immaginario. La psicoterapia è una delle moderne forme del poièin ma, perché come l’arte svolga la sua azione terapeutica, bisogna che si liberi dal sapere scientifico e tecnico della psichiatria. Sulla scena analitica due personaggi e due autori narrano la storia degli eventi dell’anima, quelli che accadono al paziente dal momento in cui fa la sua richiesta di aiuto, e quelli che accadono nel terapeuta che lo ascolta.
3) La mente ha bisogno di ricordare e storicizzare, di dare un ordine temporale sia ai fatti esterni che a quelli interiori; la “memorabilità” , la memoria, infonde profondità alla vita. Il senso di continuità e di coerenza sono supportati dalla costruzione di un ordine narrativo che congiunge il presente al passato. Il ricordo è un atto immaginativo il cui significato influenza la valutazione che diamo del presente.
4) La psicoterapia è una nuova forma narrativa inaugurata da Freud. Oltre alla sequenza temporale, il racconto di una vita può essere organizzato in una trama costituita da connessioni causali, dalla ricerca dei perché, o dalla ricerca delle ragioni finali degli eventi. Spingendosi oltre il mondo grossolano dei fatti, la psicoterapia è la forma d’arte che nel nostro tempo dà voce all’anima, offrendo alle sue immagini nuove storie le cui trame sono le teorie psicologiche. Freud, Jung, Adler hanno raccontato le loro immagini sul funzionamento della psiche. Il loro merito è stato di voler andare oltre le immediate manifestazioni psichiche e di aver colto, attraverso l’immaginazione, qualcosa di vero sulla natura dell’anima. Freud ha espresso il fondamento mitico della psicologia, Jung la natura ermetica e la tensione metaforica presenti in ogni esperienza psichica, Adler l’importanza del riconoscimento dell’inferiorità come apportatrice di significato. Il limite di queste trame narrative è quello però di delimitare in modo troppo angusto il mondo immaginale. Hillman riconosce che la trama narrativa in Jung, la teoria degli archetipi, è intrinsicamente più complessa e molteplice.
PSICOTERAPIA E NARRAZIONE
La terapia parte dall’attenzione al racconto letterale del paziente. La trama terapeutica ha bisogno dell’opacità dei resoconti per intuire oltre essi i significati. Devono esserci confini molto precisi tra il racconto di fatti esteriori e storici e la ricerca di una dimensione interiore, quindi psicologica. La relazione tra esteriore ed interiore non va artificiosamente costruita attraverso l’interpretazione: io in qualità di professionista ti racconto come tu funzioni. E’ invece l’attività immaginativa della psiche del terapeuta che viene sollecitata dall’immagine che il paziente porta in sé. Riscrivere la storia clinica come storia dell’anima vuol dire seguire la pista della trama di significato attraverso ” una collaborazione tra narrazioni” (p.21). Abbiamo visto che le teorie psicologiche sono narrazioni immaginative sul funzionamento psichico; sembra che Hillman non ne svaluti il valore psicologico ma mette in guardia da un uso troppo unidirezionale. Le stesse concezioni di Neumann (archetipo della Grande Madre), un certo modo di intendere il processo d’individuazione in Jung (mito dell’eroe) sono da Hillman considerati restrittivi rispetto alla poiesis terapeutica che lui intende come attività immaginativa che da espressione all’anima, alla vita interiore, alla naturale tendenza della psiche a raccontarsi in immagini. Si potrebbe dire che il racconto del paziente solleciti nel terapeuta una trama di immagini che daranno forma ad una nuova storia. Il paziente giunge in analisi quando non riesce più a tenere insieme gli eventi della sua vita nel consueto ordine o disordine tematico che costituisce quello che possiamo chiamare il racconto di una vita.
Come dice Hillman non è l’uomo che va curato ma le immagini del suo ricordo perché il modo in cui ci raccontiamo e immaginiamo la nostra storia, influenza il corso alla nostra vita (p.29). La narrazione terapeutica è possibile però solo se il terapista si pone di fronte alle manifestazioni psichiche del paziente e alle sue, non con l’intenzione di spiegarle ma lasciandole come espressione pura, senza forzarle nel pregiudizio di una teoria. Attraverso la riflessione e l’intuizione psicologica, l’analista dovrebbe cominciare a leggere la storia raccontata dal paziente con la sensibilità rivolta alla forma archetipica in cui si presenta il materiale. Non rimanere legato quindi né alla linearità cronologica né alle trame psicologiche già note, ma essere pronto a cogliere e a riconoscere i mitologemi dei quali le vicende individuali sono espressione e che tessono la trama rinnovata dalla domanda di terapia.
A tale modo di intendere la cura analitica si potrebbe muovere la critica di favorire un solipsistico fantasticare, come se la cura consistesse nella vicinanza tra due mondi immaginativi senza che ci sia un reale incontro tra due soggettività. Attraverso il riferimento all’archetipo, così centrale nel suo pensiero, Hillman da giustificazione teorica alla sua idea di psicoterapia come narrazione Come afferma all’inizio del testo, e come ribadisce in modo ancor più radicale negli scritti successivi, la psicoterapia non guarisce. Può però cogliere il tema dominante di una vita individuale dando a questa una coerenza narrativa che è insieme personale ma anche globalmente umana.
Dalla concezione di Jung sull’archetipo, Hillman estrapola soprattutto la curvatura mitologica. L’archetipo dà forma al mitologema che assumerà le caratteristiche peculiari del contesto storico culturale nel quale si manifesta. Analogamente si manifesta nella psiche individuale attraverso le perturbazioni dell’anima e le sue immagini. I sogni, i sintomi, i ricordi, l’attività mitopoietica della psiche imprimono alla storia personale il carattere dell’individualità. Ne “Il codice dell’anima”, Hillman sviluppa il tema della ghianda come metafora del destino individuale e della realizzazione del proprio compito esistenziale. La sofferenza scaturisce da un’eccessiva identificazione con le proprie narrazioni personali, quelle che sono sotto il dominio dell’Io. Non esiste un solo modo di raccontarsi né esiste una cura psicologica; solo uscendo dalla cronaca letterale attraverso la ricettività verso l’immagine, si può ridurre il senso di discontinuità o di dissociazione psichica, il senso di isolamento e di perdita di progettualità.
“Questo tipo di processo di guarigione per mezzo dell’immagine dipende da un senso narrativo: si è in attento servizio dentro una realtà immaginativa….La guarigione, se arriva, è prima di tutto guarigione del nostro senso narrativo, che dona un senso narrativo anche ai nostri disturbi. Dobbiamo prenderci cura dell’immaginazione, dal momento che può essere anche fonte del nostro disturbo” (p.94)
Anche per Hillman, come per Jung, è la psiche stessa a contenere i fattori di auto guarigione. La rinarrazione della propria vita alla luce delle componenti mitiche che l’anima rivela attraverso l’immaginario, modifica l’influenza patogenetica del passato. L’Autore racconta l’incontro con una paziente con una storia di ospedalizzazioni, comportamenti autolesivi, trattamenti interrotti. Egli vide in lei un’esperta dei turbamenti dell’anima, una persona capace di coglierne le manifestazioni. Cominciò con lei a costruire una nuova narrazione dando valore delle sue esperienze interiori.
Per Jung l’immagine è il veicolo attraverso cui coscienza ed inconscio si mantengono in relazione compensatoria. Cito da “Tipi psicologici”: “L’immagine è un’espressione concentrata della situazione psichica totale… è espressione dei contenuti inconsci che sono costellati in quel momento. Questa costellazione avviene da un lato per l’attività specifica dell’inconscio e dall’altro in forza dello stato momentaneo della coscienza…Di conseguenza l’immagine è espressione tanto della situazione inconscia quanto di quella momentanea cosciente. L’interpretazione del suo significato non può quindi partire né dal solo inconscio, ma unicamente dal loro mutuo rapporto”.(p.490,491)
Si può quindi dire che per Hillman, la psicoterapia sia un processo di acquisizione di consapevolezza del proprio mito personale o, come dice ne “Il codice dell’anima”, di riconoscimento del proprio destino ; Jung invece attribuisce all’inconscio un potere trasformativo non solo rivelativo.
Nonostante Jung faccia riferimento ad opere letterarie e ricorra tanto al racconto di miti come manifestazione dell’attività simbolica collettiva,, egli non parla esplicitamente di narrazione, tuttavia in “Ricordi Sogni, Riflessioni “egli racconta la sua vita attraverso la narrazione dell’incontro con i personaggi che animano le immagini che si costellano durante gli anni della crisi. Come scrive, i ricordi del suo passato non gli davano la comprensione di quanto gli accadeva. La sua autobiografia ,”la vera narrazione della mia vita”, si chiarifica sia mantenendo il rapporto con le vicende storiche, con i fatti accaduti, con la vita quotidiana, sia dialogando con gli aspetti autonomi della psiche che, sotto forma di immagini aprono alla dimensione simbolica.
BIBLIOGRAFIA
James Hillman- Il suicidio e l’anima-1964-Astrolabio-Roma. 1972
James Hillman- Le storie che curano-1983-Raffaello Cortina Editore-Milano1984
James Hillman- Il codice dell’anima-1996-Adelphi-Milano. 1997
James Hillman- Il mito dell’analisi- 1972-Adelphi-Milano.1977.
Carl Gustav Jung-Tipi Psicologici-1921- Boringhieri- Torino.1977
Carl Gustav Jung-La funzione trascendente-1957/1958-in Opere vol 8- Boringhieri-Torino
Carl Gustav Jung-Ricordi, sogni, riflessioni-1961-Rizzoli Editore-Milano-1978-
1) Per J. Hillman la caratteristica fondamentale della psiche è quella di produrre immagini. Le percezioni che provengono dall’esterno e quelle che riguardano lo stato interiore dell’organismo o gli stati affettivi, sono rielaborati e rappresentati attraverso immagini. Da queste prendono l’avvio sia la riflessione psicologica sia l’astrazione intellettuale Alcune immagini hanno carattere di familiarità: sono riconosciute come prodotto della propria mente. Altre sono avvertite come totalmente autonome con caratteristiche sconosciute, inquietanti, inusuali, estranee all’identità personale; non riconducibili alle consuete esperienze di vita. Sono invece espressione dell’azione strutturante degli archetipi Sotto forma di sogni o di ricordi o di invenzioni o di sintomi o di distorsioni percettive riducono la libertà dell’Io ponendolo in una condizione di ricettività. Il lavoro interiore, il processo di riflessione, si avvia quando l’attenzione si sposta dalla letteralità degli eventi alla loro rappresentazione immaginativa.
2) Un bisogno psichico fondamentale è quello di raccontare e di sentire racconti. Di ciò è prova l’arte che è manifestazione della natura poetica della mente. Attraverso la contemplazione estetica o le opere letterarie si può vivere quell’intensa esperienza emotiva descritta da Aristotele col nome dai catarsi. Hillman intende pòiesis nel senso del fare fine a se stesso, come espressione dell’immaginario. La psicoterapia è una delle moderne forme del poièin ma, perché come l’arte svolga la sua azione terapeutica, bisogna che si liberi dal sapere scientifico e tecnico della psichiatria. Sulla scena analitica due personaggi e due autori narrano la storia degli eventi dell’anima, quelli che accadono al paziente dal momento in cui fa la sua richiesta di aiuto, e quelli che accadono nel terapeuta che lo ascolta.
3) La mente ha bisogno di ricordare e storicizzare, di dare un ordine temporale sia ai fatti esterni che a quelli interiori; la “memorabilità” , la memoria, infonde profondità alla vita. Il senso di continuità e di coerenza sono supportati dalla costruzione di un ordine narrativo che congiunge il presente al passato. Il ricordo è un atto immaginativo il cui significato influenza la valutazione che diamo del presente.
4) La psicoterapia è una nuova forma narrativa inaugurata da Freud. Oltre alla sequenza temporale, il racconto di una vita può essere organizzato in una trama costituita da connessioni causali, dalla ricerca dei perché, o dalla ricerca delle ragioni finali degli eventi. Spingendosi oltre il mondo grossolano dei fatti, la psicoterapia è la forma d’arte che nel nostro tempo dà voce all’anima, offrendo alle sue immagini nuove storie le cui trame sono le teorie psicologiche. Freud, Jung, Adler hanno raccontato le loro immagini sul funzionamento della psiche. Il loro merito è stato di voler andare oltre le immediate manifestazioni psichiche e di aver colto, attraverso l’immaginazione, qualcosa di vero sulla natura dell’anima. Freud ha espresso il fondamento mitico della psicologia, Jung la natura ermetica e la tensione metaforica presenti in ogni esperienza psichica, Adler l’importanza del riconoscimento dell’inferiorità come apportatrice di significato. Il limite di queste trame narrative è quello però di delimitare in modo troppo angusto il mondo immaginale. Hillman riconosce che la trama narrativa in Jung, la teoria degli archetipi, è intrinsicamente più complessa e molteplice.
PSICOTERAPIA E NARRAZIONE
La terapia parte dall’attenzione al racconto letterale del paziente. La trama terapeutica ha bisogno dell’opacità dei resoconti per intuire oltre essi i significati. Devono esserci confini molto precisi tra il racconto di fatti esteriori e storici e la ricerca di una dimensione interiore, quindi psicologica. La relazione tra esteriore ed interiore non va artificiosamente costruita attraverso l’interpretazione: io in qualità di professionista ti racconto come tu funzioni. E’ invece l’attività immaginativa della psiche del terapeuta che viene sollecitata dall’immagine che il paziente porta in sé. Riscrivere la storia clinica come storia dell’anima vuol dire seguire la pista della trama di significato attraverso ” una collaborazione tra narrazioni” (p.21). Abbiamo visto che le teorie psicologiche sono narrazioni immaginative sul funzionamento psichico; sembra che Hillman non ne svaluti il valore psicologico ma mette in guardia da un uso troppo unidirezionale. Le stesse concezioni di Neumann (archetipo della Grande Madre), un certo modo di intendere il processo d’individuazione in Jung (mito dell’eroe) sono da Hillman considerati restrittivi rispetto alla poiesis terapeutica che lui intende come attività immaginativa che da espressione all’anima, alla vita interiore, alla naturale tendenza della psiche a raccontarsi in immagini. Si potrebbe dire che il racconto del paziente solleciti nel terapeuta una trama di immagini che daranno forma ad una nuova storia. Il paziente giunge in analisi quando non riesce più a tenere insieme gli eventi della sua vita nel consueto ordine o disordine tematico che costituisce quello che possiamo chiamare il racconto di una vita.
Come dice Hillman non è l’uomo che va curato ma le immagini del suo ricordo perché il modo in cui ci raccontiamo e immaginiamo la nostra storia, influenza il corso alla nostra vita (p.29). La narrazione terapeutica è possibile però solo se il terapista si pone di fronte alle manifestazioni psichiche del paziente e alle sue, non con l’intenzione di spiegarle ma lasciandole come espressione pura, senza forzarle nel pregiudizio di una teoria. Attraverso la riflessione e l’intuizione psicologica, l’analista dovrebbe cominciare a leggere la storia raccontata dal paziente con la sensibilità rivolta alla forma archetipica in cui si presenta il materiale. Non rimanere legato quindi né alla linearità cronologica né alle trame psicologiche già note, ma essere pronto a cogliere e a riconoscere i mitologemi dei quali le vicende individuali sono espressione e che tessono la trama rinnovata dalla domanda di terapia.
A tale modo di intendere la cura analitica si potrebbe muovere la critica di favorire un solipsistico fantasticare, come se la cura consistesse nella vicinanza tra due mondi immaginativi senza che ci sia un reale incontro tra due soggettività. Attraverso il riferimento all’archetipo, così centrale nel suo pensiero, Hillman da giustificazione teorica alla sua idea di psicoterapia come narrazione Come afferma all’inizio del testo, e come ribadisce in modo ancor più radicale negli scritti successivi, la psicoterapia non guarisce. Può però cogliere il tema dominante di una vita individuale dando a questa una coerenza narrativa che è insieme personale ma anche globalmente umana.
Dalla concezione di Jung sull’archetipo, Hillman estrapola soprattutto la curvatura mitologica. L’archetipo dà forma al mitologema che assumerà le caratteristiche peculiari del contesto storico culturale nel quale si manifesta. Analogamente si manifesta nella psiche individuale attraverso le perturbazioni dell’anima e le sue immagini. I sogni, i sintomi, i ricordi, l’attività mitopoietica della psiche imprimono alla storia personale il carattere dell’individualità. Ne “Il codice dell’anima”, Hillman sviluppa il tema della ghianda come metafora del destino individuale e della realizzazione del proprio compito esistenziale. La sofferenza scaturisce da un’eccessiva identificazione con le proprie narrazioni personali, quelle che sono sotto il dominio dell’Io. Non esiste un solo modo di raccontarsi né esiste una cura psicologica; solo uscendo dalla cronaca letterale attraverso la ricettività verso l’immagine, si può ridurre il senso di discontinuità o di dissociazione psichica, il senso di isolamento e di perdita di progettualità.
“Questo tipo di processo di guarigione per mezzo dell’immagine dipende da un senso narrativo: si è in attento servizio dentro una realtà immaginativa….La guarigione, se arriva, è prima di tutto guarigione del nostro senso narrativo, che dona un senso narrativo anche ai nostri disturbi. Dobbiamo prenderci cura dell’immaginazione, dal momento che può essere anche fonte del nostro disturbo” (p.94)
Anche per Hillman, come per Jung, è la psiche stessa a contenere i fattori di auto guarigione. La rinarrazione della propria vita alla luce delle componenti mitiche che l’anima rivela attraverso l’immaginario, modifica l’influenza patogenetica del passato. L’Autore racconta l’incontro con una paziente con una storia di ospedalizzazioni, comportamenti autolesivi, trattamenti interrotti. Egli vide in lei un’esperta dei turbamenti dell’anima, una persona capace di coglierne le manifestazioni. Cominciò con lei a costruire una nuova narrazione dando valore delle sue esperienze interiori.
Per Jung l’immagine è il veicolo attraverso cui coscienza ed inconscio si mantengono in relazione compensatoria. Cito da “Tipi psicologici”: “L’immagine è un’espressione concentrata della situazione psichica totale… è espressione dei contenuti inconsci che sono costellati in quel momento. Questa costellazione avviene da un lato per l’attività specifica dell’inconscio e dall’altro in forza dello stato momentaneo della coscienza…Di conseguenza l’immagine è espressione tanto della situazione inconscia quanto di quella momentanea cosciente. L’interpretazione del suo significato non può quindi partire né dal solo inconscio, ma unicamente dal loro mutuo rapporto”.(p.490,491)
Si può quindi dire che per Hillman, la psicoterapia sia un processo di acquisizione di consapevolezza del proprio mito personale o, come dice ne “Il codice dell’anima”, di riconoscimento del proprio destino ; Jung invece attribuisce all’inconscio un potere trasformativo non solo rivelativo.
Nonostante Jung faccia riferimento ad opere letterarie e ricorra tanto al racconto di miti come manifestazione dell’attività simbolica collettiva,, egli non parla esplicitamente di narrazione, tuttavia in “Ricordi Sogni, Riflessioni “egli racconta la sua vita attraverso la narrazione dell’incontro con i personaggi che animano le immagini che si costellano durante gli anni della crisi. Come scrive, i ricordi del suo passato non gli davano la comprensione di quanto gli accadeva. La sua autobiografia ,”la vera narrazione della mia vita”, si chiarifica sia mantenendo il rapporto con le vicende storiche, con i fatti accaduti, con la vita quotidiana, sia dialogando con gli aspetti autonomi della psiche che, sotto forma di immagini aprono alla dimensione simbolica.
BIBLIOGRAFIA
James Hillman- Il suicidio e l’anima-1964-Astrolabio-Roma. 1972
James Hillman- Le storie che curano-1983-Raffaello Cortina Editore-Milano1984
James Hillman- Il codice dell’anima-1996-Adelphi-Milano. 1997
James Hillman- Il mito dell’analisi- 1972-Adelphi-Milano.1977.
Carl Gustav Jung-Tipi Psicologici-1921- Boringhieri- Torino.1977
Carl Gustav Jung-La funzione trascendente-1957/1958-in Opere vol 8- Boringhieri-Torino
Carl Gustav Jung-Ricordi, sogni, riflessioni-1961-Rizzoli Editore-Milano-1978-
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