“Tutti i sistemi biologici (organismi e organizzazioni sociali o ecologiche di organismi) sono suscettibili di cambiamenti adattativi che assumono molte forme (risposta, apprendimento, successione ecologica, evoluzione biologica, evoluzione culturale, ecc.), secondo le dimensioni e la complessità del sistema considerato.
Qualunque sia il sistema, tuttavia, i cambiamenti adattativi dipendono da anelli di reazione, siano essi quelli della selezione naturale o quelli del rinforzo individuale; di conseguenza il sistema deve sempre adottare un procedimento per tentativi ed errori e impiegare un meccanismo di confronto.
Ma il procedimento per tentativi ed errori implica sempre degli errori, i quali rappresentano sempre, dal punto di vista biologico o psichico, un costo. La conseguenza è che i cambiamenti adattativi devono essere sempre gerarchici.
C’è bisogno dunque non solo di quel cambiamento del primo ordine che soddisfa la richiesta ambientale (o fisiologica) immediata, ma anche di cambiamenti del secondo ordine, i quali ridurranno la quantità dei tentativi necessari per portare a compimento il cambiamento del primo ordine, ecc. Mediante la sovrapposizione e l’interconnessione di molti anelli di reazione, noi (e come noi tutti gli altri sistemi biologici) non solo risolviamo problemi specifici, ma ci formiamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi. Ci comportiamo come se un’intera classe di problemi potesse essere risolta sulla base di ipotesi e premesse meno numerose dei problemi della classe; in altre parole noi (organismi) apprendiamo ad apprendere, o, con termine più tecnico, deutero-apprendiamo.
Il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine.
Ma le abitudini, com’è noto, sono rigide, e questa loro rigidità è una conseguenza inevitabile della posizione che esse occupano nella gerarchia dell’adattamento. Il risparmio, in termini di tentativi ripetuti, che ci procura il formarsi di abitudini è possibile proprio perché esse sono programmate in modo relativamente rigido: il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine ogni volta che di tale abitudine ci serviamo. Si può dire che queste premesse sono in parte ‘inconscie’, oppure, se si vuole, che si è presa l’abitudine di non esaminarle. È importante osservare, inoltre, che le premesse dell’abitudine sono, quasi di necessità, astratte. Ogni problema è, in qualche misura, diverso da ogni altro, e quindi la sua descrizione o la sua rappresentazione della mente conterrà proposizioni uniche. Sarebbe evidentemente errato abbassare queste proposizioni uniche al livello di premesse delle abitudini, dal momento che un’abitudine può essere applicata con successo solo a proposizioni aventi un grado di verità generale o ripetitivo, e di solito queste ultime proposizioni sono a un livello di astrazione relativamente elevato.’
Ora, le proposizioni particolari che io ritengo importanti nella determinazione delle sindromi transcontestuali sono quelle astrazioni formali che descrivono e determinano un rapporto interpersonale.
Ho detto «descrivono e determinano», ma anche questo non è esatto; sarebbe meglio dire che il rapporto è lo scambio di questi messaggi, ovvero che il rapporto è immanente in questi messaggi.
Di solito gli psicologi parlano come se le astrazioni di certi rapporti (‘dipendenza, ‘ostilità ‘, ‘amore’, ecc.) fossero oggetti reali da dover descrivere o ‘esprimere’ mediante messaggi. Ma questa è epistemologia all’incontrario: in verità, sono i messaggi che costituiscono il rapporto, e termini come ‘dipendenza’ sono descrizioni verbalmente codificate di strutture immanenti nella combinazione dei messaggi scambiati”.
Bateson Gregory
APPRENDIAMO AD APPRENDERE (G. Bateson)
(“Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 301)
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