Ricevo da Franco Sbrolla e rendo pubblico
Capitolo 3:
Da Le Quote e Rosburgo a Roseto ed alla salvaguardia delle bellezze naturali
In quel periodo, (1857 – 1927), come ben documentato dallo storico rosetano Raffaele D’Ilario (1903 – 1985), avvennero alcuni fatti importanti che cambiarono la fisionomia della sottostante Marina di Montepagano:
– 30 luglio 1857, la Chiesa Ricettizia del capoluogo, che possedeva un’area sulla costa, formulò un progetto per edificarvi un nuovo borgo;
– 22 maggio 1860, il fondo in questione fu suddiviso in 12 quote, assegnate ad altrettante famiglie, e l’aggregato residenziale venne chiamato Le Quote, da cui derivò il soprannome di “cutaruli”;
– 22 maggio 1887, con decreto del Re d’Italia Umberto I°, Le Quote cambiarono denominazione in Rosburgo (Borgo delle Rose);
– 3 aprile 1924, il regio decreto n. 604 decise il trasferimento della sede municipale da Montepagano alla frazione Rosburgo;
– 14 giugno 1926, l’on.le Giacomo Acerbo, vicepresidente della Camera dei Deputati, comunicò che Benito Mussolini gli aveva indicato “il nome italianissimo di Roseto degli Abruzzi che il Comune doveva assumere per sostituire quello teutonico di Rosburgo”;
– 20 febbraio 1927, Vittorio Emanuele III, su proposta del Capo del Governo, decretò che il Comune di Montepagano era autorizzato a mutare la propria denominazione in quella di Roseto degli Abruzzi, rimanendo invariato il nome della frazione Montepagano.
Sopraggiunta la seconda guerra mondiale, che portò fame, bombardamenti, lutti e sfollamento verso i paesi collinari, anche la villa Mazzarosa, la Cantina ed il parco a mare vennero occupati dalle truppe tedesche, responsabili di moltissimi danni e della sparizione di gran parte delle botti (barriques) della barricaia, locale destinato all’invecchiamento dei vini.
Dopo la liberazione di Roseto, avvenuta il 13 giugno 1944, un distaccamento polacco occupò la villa, che diventò l’alloggio degli ufficiali, ed il parco, dove furono mimetizzate le tende dei soldati.
Comandava il presidio una donna col grado di capitano. Una donna in guerra, ma sempre donna. Perché quando faceva i giri d’ispezione si accompagnava, mano nella mano, ad una piccola rosetana, che allora aveva sei anni, ed oggi ricorda ancora quel rapporto affettuoso.
Finita la guerra, tutto tornò, pian piano, come prima. E lungo la spiaggia della Marina di Montepagano ricominciò l’abituale passaggio delle greggi (la transumanza), all’inizio dell’autunno e durante la primavera. In quelle occasioni i pastori della montagna teramana, venendo a contatto con agricoltori e pescatori locali, avevano la possibilità di barattare latte e formaggi con prodotti della terra e della pesca.
I rapporti tra contadini e pescatori non erano però molto socievoli, in quanto i marinai, prima di andare a pesca, avevano l’abitudine di rifornirsi di frutta, specie l’uva, facendo qualche rapida incursione notturna in quelle campagne poste ai margini del litorale.
Toccava allora agli agricoltori chiudere un occhio, e spesso tutti e due, anche perché quei lavoretti, fatti a regola d’arte, non procuravano danni alle colture.
Di quel dopoguerra i rosetani custodiscono ancora, gelosamente, tante immagini, grazie agli scatti di un fotografo d’eccezione, Italo del Governatore, che aveva Roseto nel cuore. E quei favolosi anni non moriranno finchè ci sarà qualcosa o qualcuno a ricordarli.
Le attrattive dello stupendo paesaggio a nord del torrente Borsacchio non potevano, però, continuare ad essere ammirate solo dai pochi abitudinari che ardivano immergersi nel silenzio e nella natura inalterata. Raccontavano inoltre, i novelli esploratori, di aver provato sensazioni così piacevoli da indurli a riconsiderare ed a minimizzare le varie angustie della vita.
In conseguenza di quel misterioso elisir, che attirava ormai sempre più turisti nel periodo estivo, il 27 marzo 1963, su delibera della Commissione provinciale di Teramo per la protezione delle bellezze naturali, veniva emanata la Dichiarazione di notevole interesse pubblico della fascia costiera da Cologna Spiaggia a Roseto degli Abruzzi.
Nello stesso decreto, pubblicato sulla G. U. n. 98 dell’11 aprile 1963, il Ministro per la Pubblica Istruzione, di concerto col Ministro per la Marina Mercantile, riconosceva, ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1497, “che la zona predetta ha notevole interesse pubblico perché, costituita da lussureggianti boschetti di pioppi, pini ed altre essenze, con alberi che arrivano in alcuni punti a pochi metri dalla linea della battigia, forma numerosi punti di belvedere aperti al pubblico, a chi percorre la strada statale n. 16 Adriatica o la ferrovia, dai quali possono godersi meravigliosi e talora estesissimi panorami sul mare, sugli arenili e sui frastagliati profili costieri, così da offrire inoltre un susseguirsi di incantevoli quadri naturali”.
In data 25 ottobre 1969, un nuovo Decreto estendeva fino alla collina il vincolo già imposto, riconoscendo che le due zone, fascia costiera e parte collinare, “formano un complesso di punti di belvedere pubblici e di quadri naturali di incomparabile bellezza, interdipendenti fra loro per il concorrere degli stessi punti di vista: dal mare e dalle strade in pianura verso i colli e le alture dell’interno, dalla strada statale e dalla ferrovia verso il mare e le alture suddette e infine da queste ultime e dai loro molti versanti verso la pianura, il mare e il vario andamento della costa e della spiaggia. Tutto concorrente a formare un eccezionale insieme di bellezze panoramiche”.
Pertanto, il Ministro per la Pubblica Istruzione, di concerto col Ministro per il Turismo e lo Spettacolo, decretava l’ampliamento del vincolo, e lo stesso Decreto veniva pubblicato sulla G. U. n. 291 del 18 novembre 1969.
La presenza di una sensibilità così espressiva, forse mai riportata in altri contesti giuridico-ministeriali, ci fa comprendere che solo il fascino di quell’area poteva riuscire a trasformare l’abituale frasario burocratico in una ben distribuita composizione di versi poetici.
Come però si constaterà, amaramente, nel prosieguo della storia, l’illusione di poter contare sulla salvaguardia del lembo residuo della Marina di Montepagano, secondo il dettato dell’articolo 9 della Costituzione, è svanita in questo inizio di terzo millennio.
A dare il colpo di grazia sono stati la connivenza degli Enti locali ed il facile accesso ai ricorrenti condoni e sanatorie, che, per gli studiosi del Diritto, sono veri e propri espedienti anticostituzionali, concepiti dalle Istituzioni per favorire l’interesse dei singoli privati, anziché quello, preminente, della collettività.
Per rendersi conto dell’involuzione rispetto al passato, basta ricordare che già nell’Ottocento, ereditata dalle antiche dinastie e repubbliche, la sovranità popolare si esercitava anche sul patrimonio paesaggistico. E comportava, da un lato, il suo massimo e generalizzato godimento, e, dall’altro, la responsabilità, da tutti condivisa, di preservarlo per le future generazioni.
Inoltre, severe regole urbanistiche subordinavano la libertà di edificare a norme di pubblica utilità.
Sull’attuale tema della incessante e vergognosa distruzione della natura, non contrastata efficacemente dalla Giustizia umana, anche la Bibbia era stata chiara fin dalle sue prime pagine: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Genesi, 2:15).
Sulla stessa lunghezza d’onda, i Delegati delle Chiese cristiane, riuniti nell’Assemblea Ecumenica di Basilea 1989, vollero riportare, nel Documento Finale, il seguente monito equiparabile ad un Comandamento divino: “Le Chiese considerino uno scandalo ed un crimine il danno irreversibile che continua ad essere perpetrato ai danni dell’ambiente…”.
Perché l’ambiente è il Creato, e riflette la magnificenza e l’immensità del Creatore.
Franco Sbrolla
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